Vibo Valentia

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Vibo Valentia
comune
Vibo Valentia – Stemma Vibo Valentia – Bandiera
Vibo Valentia – Veduta
Localizzazione
Stato Italia Italia
Regione Coat of arms of Calabria.svg Calabria
Provincia Provincia di Vibo Valentia-Stemma.png Vibo Valentia
Amministrazione
Sindaco Elio Costa (Liste civiche) dal 01/06/2015
Territorio
Coordinate 38°40′31″N 16°05′45.24″ECoordinate38°40′31″N 16°05′45.24″E (Mappa)
Altitudine 476 m s.l.m.
Superficie 46,57 km²
Abitanti 34 000[1] (31-01-2015)
Densità 730,08 ab./km²
Frazioni Bivona, Longobardi,Piscopio, Porto Salvo, San Pietro, Stazione, Triparni,Vena Inferiore, Vena Media, Vena Superiore, Vibo Marina
Comuni confinanti BriaticoCessanitiFilandari,FrancicaMiletoJonadi,PizzoSan Gregorio d'IpponaSant'Onofrio,Stefanaconi
Altre informazioni
Cod. postale 89900
Prefisso 0963
Fuso orario UTC+1
CodiceISTAT 102047
Cod. catastale F537
Targa VV
Cl. sismica zona 1 (sismicità alta)
Cl. climatica zona D, 1 586 GG[2]
Nome abitanti vibonesi
Patrono san Leoluca
Giorno festivo 1º marzo
Cartografia
Mappa di localizzazione: Italia
Vibo Valentia
Vibo Valentia
Posizione del comune di Vibo Valentia nell'omonima provincia
Posizione del comune di Vibo Valentia nell'omonima provincia
Sito istituzionale

Vibo Valentia (IPA[ˈvibovaˈlɛnʦja][3]pronuncia[?·info], già Monteleone di Calabria fino al 1928 e Monteleone, precedentemente all'unificazione d'Italia) è un comune italiano di 34 006abitanti[1]capoluogo dell'omonima provincia in Calabria.

È il comune più popoloso della cosiddetta costa degli Dei o Costa bella. L'area urbana vasta composta da vari comuni polarizzati su Vibo Valentia conta 87.245 abitanti[4].

La città di Vibo ha una storia lunga oltre 8.000 anni[5], è anche stata capoluogo della Calabria Ultra e tesoreria delle Calabrie (Ulteriore e Citeriore).

Geografia fisica[modifica | modifica wikitesto]

Foto antica del fiume Mesima

Territorio[modifica | modifica wikitesto]

La posizione della città, adagiata sul pendio di un colle,[6] assume un'importanza strategica in ambito territoriale. Crocevia sin dai tempi dell'antica Grecia e dell'impero romano[7][8][9], domina sia l'hinterland, sia la catena montuosa delle Serre calabresi, sia la zona marittima con il suo porto e le stazioni turistiche. Servita da tutte le arterie di comunicazione, di cui ne è snodo, dall'autostrada A3(Salerno-Reggio Calabria), alla linea ferroviaria, ai collegamenti con l'aeroporto internazionale poco distante, fino al porto del quartiereVibo Marina.

La città di Vibo Valentia sorge su un grande terrazzamento collinare scistoso, l'altezza media è di 476 m s.l.m. ma raggiunge i 556 nella parte più alta e si trova sul livello del mare nella zona Marina. Le tre maggiori concentrazioni di attività industriali del comune sono presso la Località Aeroporto, presso Porto Salvo (adiacente Vibo Marina, grazie allo sfruttamento delle opportunità fornite dalla presenza del porto polifunzionale e dello scalo ferroviario), ed infine al confine con Maierato, mentre la zona commerciale è sita all'interno della città sulla collina, come anche la maggior concentrazione demografica.

Idrografia[modifica | modifica wikitesto]

Il fiume più importante del territorio comunale è il Mesima, che nasce alle pendici del monte Mazzucolo (942 m) e sfocia nel mar Mediterraneo a nord di San Ferdinando, località tra Nicotera (VV) e Rosarno (RC). Gli confluiscono a sinistra il fiume Marepotamo, il fiume Metramo e il fiume Vena ed a destra il fosso Cinnarello e il torrente Mammella. Nel territorio comunale scorre alle spalle del castello normanno-svevo, all'interno dell'omonima vallata. La città presenta inoltre numerose fiumare, tra cui spiccano il Sant'Anna ed il Trainiti.

Clima[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Stazione meteorologica di Vibo Valentia.

Il clima estivo in città non è mai veramente caldo, a stento supera i 30 gradi ma in compenso è umido ed afoso, situazione diversa sulla marina dove le temperature raggiungono anche i 35 gradi ma con un livello molto inferiore di umidità. Il clima è piacevole, mai troppo freddo e si concede spesso a giornate soleggiate che raggiungono anche i 20º. Le precipitazioni non sono molto frequenti, e in particolare le nevicate sono rare.

In base alla media trentennale di riferimento 1961-1990, la temperatura media dei mesi più freddi, gennaio e febbraio, si attesta a +12,2 °C; quella del mese più caldo, agosto, è di +26,3 °C.

Le precipitazioni medie annue si aggirano sui 550 mm e si distribuiscono mediamente in 73 giorni, con un prolungato minimo estivo ed un moderato picco tra l'autunno e l'inverno[10].

VIBO VALENTIA Mesi Stagioni Anno
Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Inv Pri Est Aut
T. max. media (°C) 12 12 15 17,9 22,4 26,1 28,8 29,6 26,8 23,0 18,8 15,6 13,2 18,4 28,2 22,9 20,7
T. min. media (°C) 4,5 5,0 7,0 10,0 16,1 19,8 22,3 23,0 20,5 17,3 14,0 11,5 7,0 11,0 21,7 17,3 14,3
Precipitazioni (mm) 64 68 54 47 23 15 15 22 37 61 68 86 218 124 52 166 560
Giorni di pioggia 10 9 8 7 3 2 2 3 4 7 8 10 29 18 7 19 73
Vento (direzione-m/s) SW
7,8
SW
8,2
SW
8,2
W
7,9
SW
6,6
SW
6,8
NW
7,7
NW
7,4
NW
6,8
SW
7,9
SW
8,7
SW
8,4
8,1 7,6 7,3 7,8 7,7

Classificazione climatica: zona D

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Dalla preistoria all'epoca romana[modifica | modifica wikitesto]

Nomi nella storia

Nel corso della sua millenaria storia, Vibo Valentia ha avuto differenti nomi, che corrispondono all'evoluzione della città nelle epoche storiche:

  • Veip o Veipone, insediamento pre-ellenico;
  • Hipponion (forma paronomastica utilizzata dalle fonti letterarie, il nome realmente utilizzato dagli abitanti era Veiponion poi Eiponion per la caduta del digammainiziale), nome della colonia greca;
  • Vibo Valentia in periodo romano;
  • Monteleone dal periodo svevo al fascismo.
Mura greche di Hipponion.

Al Neolitico, risalgono tracce di un'intensa frequentazione[7][8]dell'attuale Vibo Valentia (strumenti del Neolitico sono venuti alla luce durante lo scavo della Necropoli Occidentale di Hipponion, Orsi segnalava altri rinvenimenti relativi a questo periodo vicino i resti del tempio dorico in località Belvedere Telegrafo e nel tratto delle mura greche in località Trappeto Vecchio, il Topa ricorda vari ritrovamenti del Neolitico a Vibo, infine in recenti scavi presso via Romei sono emerse significative tracce di questo periodo). Tracce di occupazione nell'Età del Bronzo e del Ferro sono state ritrovate durante lo scavo della Necropoli Occidentale, dell'area sacra in località Scrimbia e nell'area sacra in via Romei. Il nome di questo primo insediamento indigeno doveva essere Veip oVeipone. A partire dalla seconda metà del VII secolo a.C., fu colonia greca con il nome di Hipponion, fondata da Locri Epizefiri. Alla fine del VI secolo a.C., la città sconfisse in battaglia Crotone con l'aiuto di Locri e Medma: la notizia è riportata su uno scudo con incisa una dedica ritrovato ad Olimpia[11][12], è da sottolineare che Hipponion ricopre il primo posto sull'incisione di certo per la principalità avuta nello scontro. Inizialmente si era supposto che lo scudo fosse un trofeo della battaglia della Sagra, ma la differente collocazione cronologica di questo evento rispetto alla datazione dello scudo e il fatto che le fonti non riportino Hipponion eMedma nella battaglia della Sagra, mentre nella dedica Hipponion occupa il ruolo principale, ha fatto cadere tale teoria. Lo scudo infatti è della fine del VI secolo a.C.[12], sembra riferibile piuttosto a una battaglia non ricordata dalle fonti, inquadrabile probabilmente in un periodo di poco successivo allo scontro fra Sibari e Crotone, avvenuto nel 510 a.C. Nel 422 a.C. Tucidide riporta la notizia di uno scontro di Hipponiati e Medmei contro la propria madrepatria Locrii Epizephirii, inteso fino a poco tempo fa come una sorta di ribellione delle sub-colonie contro Locri, ma in realtà i ritrovamenti archeologici attestano che Hipponion dovette essere autonoma fin dall'inizio: i ricchi doni votivi dell'area sacra in località Scrimbia attestano infatti la presenza di una ricca classe aristocratica che aveva il controllo della città sin dall'età arcaica, ciò fa comprendere come l'organizzazione sociale di Locri fosse analoga a quella di Hipponion e quindi non subordinata a quella della città madre. Un altro segno dell'indipendenza di Hipponion è dato anche dallo scudo di Olimpia, dal quale si evince che fu Hipponion la città che guidò una guerra contro Crotone e dallo stesso Tucidide che definisce gli Hipponiati come "homoroi" (confinanti) dei Locresi. Probabilmente ci furono dei legami di tipo federale fra Locri, Hipponion e Medma secondo il quale in caso di guerra una polis poteva richiedere l'ausilio delle altre due, e forse per una richiesta troppo pesante da parte dei Locresi in questa lega, originò nel 422 a.C., lo scontro. Dell'esito del conflitto Tucidide non ci dà notizie, ma che sia stato favorevole a Hipponiati e Medmei sembra certo dai successivi avvenimenti che videro schierarsi Locri insieme a Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa. All'inizio del IV secolo a.C., infatti, Dionisio si sposava con una donna locrese e Locri dara supporto al tiranno nelle sue spedizioni in Italia. Nel 393 a.C., il tiranno, una volta occupata Medma, deporta parte dei suoi abitanti a Messana e lascia il territorio della città ai Locresi. Ciò spinse Hipponion, Reggio, KaulonKrotonThuriiVelia e una serie di centri minori, ad allearsi in vista della minaccia siracusana, creando la cosiddetta Lega Italiota, tuttavia nel 388 a.C. dopo la sconfitta degli Italioti a Kaulon nella battaglia dell'Elleporo (389a.C), Dionisio conquisterà Hipponion e deporterà parte degli abitanti a Siracusa, consegnandone il territorio ai Locresi. Nove anni dopo, nel 379 a.C., i Cartaginesi libereranno la città e la ripopoleranno con gli Hipponiati deportati da Dionisio e con altri esuli a causa della tirannia. Nel 356 a.C. la nascita del popolo Brettio causò non gravi problemi a Hipponion, che forse, seppure per un breve periodo verrà occupata da questa popolazione Italica. Nel 340-331 a.C. interverrà contro i Brettii Alessandro il Molosso re dell'Epiro che inizialmente riuscirà a liberare la greca Terina (città a Nord di Hipponion) passata da alcuni anni sotto il controllo brettio e conquistando le Brettie Pandosia e Cosenza, dando sollievo a per un certo periodo a Hipponion.

Mosaico di epoca romana nel parco archeologico in loc. S.Aloe

Ma nel 331 a.C. l'epirota morrà ucciso a tradimento vicino Pandosia. Inizierà alla fine del IV secolo a.C. la realizzazione di una nuova fase della cinta muraria, dotata di torri circolari che dovevano richiedere un enorme spesa pubblica e la presenza di manodopera specializzata. Nel 294 a.C. Agatocle, Tiranno di Siracusa conquista Hipponion secondo quanto tramandato da Diodoro "Agatocle pose l'assedio alla città degli Hipponiati ...[lacuna]... e mediante le macchine lanciasassi ebbero la meglio sulla città e la conquistarono" (Diod XXI, fr. 8). Agatocle rese Hipponion uno dei suoi principali centri per il controllo dei possedimenti in Italia: da Strabone sappiamo che ne ingrandì il porto, le testimonianze archeologiche attestano il rafforzamento delle mura che renderanno la città una vera e propria grande roccaforte. Poco dopo la morte di Agatocle ci sarà lo scontro delle città della Magna Grecia con i Romani e l'intervento di Pirro. Dopo la fine della guerra, Hipponion, come gli altri centri italioti e Bruzi, passera sotto il controllo dei Romani e verrà insediato un presidio romano. Il controllo romano sarà assente durante la seconda guerra Punica, quando i Brettii passati dalla parte di Annibale se ne impossesseranno. Nel 192a.C., pochi anni dopo la fine della II Guerra Punica, i Romani dedurranno a Hipponion una colonia a diritto Latino (Liv., XXXV, 40, 5-6) chiamata Valentia, con diritto di zecca e varie autonomie. Il nome Valentia (attestato sulle monete della colonia e dall'epigrafe di Polla che ricorda la costruzione della via Popilia), in Latino significa forza, potenza militare, insieme al massiccio invio di coloni superiore a tutti gli altri centri del Bruzio: 4.000 soldati, di sicuro con donne e figli, fa comprendere come la capitale dell'Impero riconosceva al centro tirrenico grande importanza strategica ed economica. Successivamente, dall'89 a.C. quando divenne municipio, Vibo Valentia fu il nome utilizzato per indicare la città (Strabone, Plinio il vecchio, ecc.).

La città possedeva un ampio territorio: in epoca greca la sua chora (territorio in greco) era confinante con quella di Locri Epizephiri (Thucid. 5,5,1). Secondo gli studi più recenti il suo territorio doveva avere per confine a Nord il torrente Lametos (ora Amato), a Sud Nicotera e ad Est la catena montuosa delle Serre, ad ovest il mar Tirreno; in epoca romana il confine dell'ager Vibonensis (così come lo chiama Tito Livio) si era spinto a Sud poco più in giù del fiume Mesima (prendendo anche il posto di Medma, situata presso l'odierna Rosarno, che da fiorente colonia greca era ormai scomparsa in epoca Romana). Durante il periodo romano, la costruzione della Via Popilia interessò la città che divenne un'importante stazione. Di grande importanza per lo sviluppo della città fu anche il porto, i cui resti sono in parte interrati e in parte sott'acqua fra la località Trainiti e Bivona nel comune di Vibo Valentia. Parlando di Vibo, Strabone riferisce che essa possedeva un epineion, ossia un porto che sorge ad una certa distanza dalla città da cui dipende, che sarebbe stato rafforzato da Agatocle tiranno di Siracusa, dopo averlo conquistato nel 294 a.C. Durante l'epoca romana, il porto divenne il principale scalo di partenza, sul Tirreno, del legname della Silva Bruttia per la costruzione delle navi del potente esercito romano. Grazie alla sua importanza strategica e politica, Vibo ebbe l'onore di ospitare Giulio CesareOttaviano e Cicerone, che la ricorda nelle sue lettere. Caio Giulio Cesare aveva utilizzato il porto della città, durante le guerre civili, per ospitare metà della sua flotta; lo stesso Cesare descrive un episodio bellico avvenuto nei pressi del porto della città. La flotta stanziata a Vibo riuscì a respingere un assalto dei Pompeiani, guidati da Cassio Longino, distruggendo la nave dello stesso generale nemico che dovette fuggire su una scialuppa per, poi, una volta raggiunto le altre navi allontanarsi definitivamente dalle acque Vibonesi.[13] Ottaviano come il suo padre adottivo utilizzò il porto della città come base navale. Infatti, nel 36 a.C., il futuro imperatore venne sconfitto e messo in fuga da Sesto Pompeo (figlio del più famoso Gneo) che si era impadronito della Sicilia, così con la flotta duramente colpita dalla sconfitta si rifugiò nella fiorente città tirrenica ove stabilì il suo quartier generale e visse per circa un anno. Appiano nell'opera sulle guerre civili descrive i vari spostamenti della flotta che aveva come base principale Vibo Valentia. Quando Pompeo venne sconfitto definitivamente, la città, che per l'importanza e la prosperità raggiunta era stata scelta come territorio da assegnare ai veterani come colonia, venne esonerata dal gravoso incarico insieme a Reggio per i meriti ottenuti in questo frangente,[14] mantenendo così illesa la sua fiorente economia. Almeno a partire dal V secolo (ma probabilmente già un secolo prima) diventa sede di una diocesi, il nome nel tardo impero cambia in quello di Vibona.

Dal Medioevo al secolo XIX[modifica | modifica wikitesto]

Castello Normanno-Svevo di Vibo Valentia

Dopo la fine dell'impero romano i bizantini provvidero a fortificarla, ma i saraceni l'attaccarono e saccheggiarono più volte. Ruggero il Normanno pose nell'XI sec. i suoi accampamenti a Vibo e in seguito trasferì la sede della diocesi, presente a Vibo fin dal V o IV secolo, nella sua Mileto. Sempre in questo periodo, Ruggero smantellò colonne e marmi degli antichi edifici classici di Vibo Valentia per utilizzarli aMileto nella costruzione di altri edifici. Federico II di Svevia passando dalla città, rimasto impressionato per la bellezza e il potenziale strategico del luogo (Nicolai de JamsillaDe rebus gestis Federici II imperatoris), diede l'incarico al "secreto" di Calabria, Matteo Marcofaba, di ricostruirla e ripopolarla e d'allora cambiò il nome in Monteleone di Calabria.

In questo periodo venne realizzata la prima fase del castello che per errore veniva attribuita al periodo Normanno. Sotto gli Angioini la città acquisì ancora più prestigio e prosperità, divenendo serie del vicario reale. Sempre nello stesso periodo venne ulteriormente rafforzato e ingrandito il castello e la cinta muraria medievale. In seguito fra il periodo Angioino e Aragonese, divenne Feudo dei Caracciolo e poi comune demaniale. Nel 1501, usurpando quelli che erano i diritti della città, venne affidata nuovamente come feudo ai Pignatelli. Per questo scoppiò una rivolta per il quale dovette intervenire il generale Lo Tufo del regno di Napoli. Quest'ultimo non riuscendo a domarla, chiamò per discutere i sette capi del popolo che vennero uccisi a tradimento. Qualche anno dopo, la monteleonese Diana Recco che aveva perso un fratello e il padre nella rivolta, uccise a pugnalate il generale Lo Tufo che stava partecipando alla cerimonia di matrimonio di una delle figlie. In ogni caso i Pignatelli pensarono allo sviluppo della città, creando filande, oleifici e favorendo molte attività artigianali.

Nell'Ottocento i francesi la elevarono a capoluogo della Calabria Ultra e da allora fino a pochi decenni addietro fiorirono tanti mestieri, il cui ricordo è nel nome di strade (Via Forgiari, via Chitarrari, via Argentaria, ecc.) e di istituzioni come il Real Collegio Vibonese (l'ancora esistente Convitto Filangieri e il teatro Comunale, demolito negli anni sessanta). Dopo il ritorno dei Borbone la città perse il ruolo di capoluogo e la sua importanza politica ed economica venne ridimensionata. Durante le guerre per l'Unità d'Italia,Garibaldi passò da Monteleone dove ottenne aiuti materiali e finanziamenti da parte degli abitanti.

Periodo fascista[modifica | modifica wikitesto]

Monumento a Luigi Razza

Sotto il Fascismo, per opera di Luigi Razza, giornalista, politico, deputato al Parlamento e Ministro dei Lavori Pubblici, si avviò un grande rilancio nel campo dei lavori pubblici, in cui spicca la costruzione del Palazzo del Municipio (finito di costruire nel 1935 e che, secondo il progetto iniziale, avrebbe dovuto accogliere, al termine, la Prefettura della costituenda provincia) in stile razionalista. Per iniziativa dello stesso Razza, nel 1927 un regio decreto ispirato dal governo fascista che diverrà effettivo il 13 gennaio 1928, ribattezzò la città da Monteleone di Calabria a, secondo la dizione latina, Vibo Valentia. La spinta edilizia pubblica nella città ebbe un deciso arresto quando il ministro Razza scomparve in un incidente aereo in Egitto nel 1935. La città ha voluto successivamente onorarne la memoria con una statua bronzea, a figura intera, scolpita da F. Longo nel 1938 e personalmente inaugurata da Benito Mussolini nel 1939 durante la sua visita alla città, la quale si erge in Piazza San Leoluca su un alto piedistallo, sormontato da una stele recante in cima l'effigie marmorea della Vittoria alata. Un'altra effigie gli è stata riservata nel Palazzo del Municipio, a lui intitolato. A Luigi Razza la città ha inoltre intitolato il proprio aeroporto militare, lo stadio, una piazza e una via del centro storico.

Età contemporanea[modifica | modifica wikitesto]

Avvenimento più importante degli ultimi anni, nel 1992, è stata la proclamazione dell'omonima provincia, che in precedenza era compresa nella provincia di Catanzaro.

Palazzo Luigi Razza, attuale sede del comune

Nel 1993, con la realizzazione di un monumento, la città ha inteso onorare la memoria di un suo abitante, Michele Morelli, patriota e martire del risorgimento.

Nel corso degli anni novanta, Vibo Valentia dedica una Piazza e un busto bronzeo al poeta Vincenzo Ammirà.

Il 3 luglio 2006 viene duramente colpita da una alluvione, che provoca la morte di 4 cittadini ed ingenti danni economici all'industria, al turismo ed ai beni dei privati. I danni maggiori si registrano nelle località di Longobardi, Vibo Marina e Bivona, investite da una grande quantità di acqua, fango e detriti. Gli interventi di sistemazione sono stati affidati ad una commissione presieduta da Pasquale Versace, docente di Idrologia e Progettazione di Opere Idrauliche all'Università della Calabria.


Simboli[modifica | modifica wikitesto]

Vibo Valentia-Stemma2.png

Scudo partito d'oro e di rosso e al terzo superiore spaccato di azzurro. Nel primo a tre monti di verde, sul medio (quello centrale) più alto un leone rampante lampassato di rosso, di cui una metà di azzurro nel campo d'oro, e l'altra dello stesso nel campo di azzurro. Nel secondo ha due corna di amaltea (cornucopie) d'oro colme di frutta dello stesso e un'asta d'argento sostenente sull'estremità una civetta nel campo di azzurro. Scudo timbrato da corona ducale, con la dicitura in basso S.P.Q.V.

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