Guidonia Montecelio (IPA: [ɡwiˈdɔnja monteˈʧɛljo][4], conosciuto semplicemente come Guidonia) è un comune italiano sparso di 89 153 abitanti[1] della città metropolitana di Roma Capitale nel Lazio. Originariamente comune di Montecelio, fu accorpato e rinominato nel 1937 con la città di fondazione fascista Guidonia e il suo aeroporto militare "Alfredo Barbieri".
Il territorio di Guidonia Montecelio con la sua estensione di 79,06 km² sorge a nord est di Roma a pochi chilometri dal Grande Raccordo Anulare nella Sabina romana, idealmente compreso tra le vie Nomentana e Tiburtina.
In generale, l'area presenta caratteristiche riconducibili a tre tipologie morfologiche principali: le prominenze della parte settentrionale e orientale, in cui ricadono le località di Sant'Angelo Romano, Montecelio, Marcellina e Tivoli, il settore pianeggiante a sud-ovest di Guidonia e la piana alluvionale del fiume Aniene.
La composizione geologica del territorio di Guidonia, secondo la Carta Geologica d'Italia redatta dal Servizio Geologico d'Italia,[5] è estremamente variegata e frammentaria.
La valle dell'Inviolata e le aree circostanti il fiume Aniene risultano essere composte da terreno alluvionale[5], mentre il centro abitato sorge su un territorio tufaceo rimaneggiato dal pendio[5] e una vasta area attorno alle sorgenti dell'acqua Albula è formata da travertino (classificazione Tr2)[5].
La via Tiburtina Valeria attraversa nel primo tratto presso la località Albuccione un terreno composto da sabbie silicee, argille e tufo litoide[5]. I Monti Cornicolani sono formati dello stesso materiale, arricchito da tugi grigi stratificati (classificazione ts3)[5]. La parte settentrionale del comune presenta alcuni banchi di calcare (G)[6].
Dei molti laghi, rivi e stagni che arricchivano il territorio di un ambiente e di un clima marino, la vasta opera di bonifica compiuta nei secoli, ha lasciato solo poche tracce. Ne rimane testimonianza nei toponimi che rimandano alla natura paludosa del terreno: Lago dei Tartari, Acque Sparse, Valle Pilella, Pantano, Pantanelle, La Botte, Callarelle, Bollente, Formello[7].
Per quel che concerne i corsi d'acqua che dal settore settentrionale scendono verso valle, essi hanno creato nel tempo incisioni nel terreno più o meno rilevanti e per questo vengono definiti fossi; tra questi, il Fosso dei Prati che scorrendo lungo la piana di Guidonia e tra i due insediamenti abitativi di Villanova e Campo Limpido sfocia nell'Aniene seguendo un andamento pressoché rettilineo, almeno sino in prossimità del Ponte delle Vigne e il Fosso di Marco Simone che scorre parallelo alla via provinciale Palombarese e si arricchisce delle acque di numerosi altri rivi (S. Antonio, Poggio Gentile, S. Lucia, Inviolata e Capaldo).
Nella parte orientale dell'area, l'acqua agisce come elemento costruttore, sia depositando i travertini dalle acque sorgive ricche di calcare, sia lasciando i detriti precedentemente prelevati dalle zone più rilevate. Qui è predominante il fenomeno delle acque termali, con i due laghi delle Colonnelle e della Regina, che alimentano con 3 000 litri al secondo[8] le Terme di Bagni in concessione al limitrofo comune di Tivoli. Devono il loro nome rispettivamente al ritrovamento di colonne di marmo delle antiche terme romane e per la supposta presenza della villa della regina Zenobia.
Poco a nord dei due laghi sulfurei, si trova una dolina carsica d'acqua dolce detta Lago di San Giovanni, stretta tra le strade e gli edifici.
Il centro di Guidonia con i suoi 105 m s.l.m., ha una temperatura media non molto diversa da quella di Roma Urbe. Le caratteristiche climatiche sono mediterranee, con una piovosità moderata nell'arco dell'anno e molto contenuta nei mesi estivi. I monti che contornano la zona di Guidonia ostacolano i venti più freddi, provenienti dal quadrante nord-orientale, permettendo un clima particolarmente mite anche in inverno.
Di seguito è riportata la tabella con le medie climatiche e i valori massimi e minimi assoluti registrati nel trentennio 1971-2000 e pubblicati nell'Atlante Climatico d'Italia del Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare relativo al medesimo trentennio[9].
GUIDONIA MONTECELIO (1971-2000) |
Mesi | Stagioni | Anno | ||||||||||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Gen | Feb | Mar | Apr | Mag | Giu | Lug | Ago | Set | Ott | Nov | Dic | Inv | Pri | Est | Aut | ||
T. max. media (°C) | 12,7 | 14,0 | 16,2 | 18,7 | 23,7 | 27,9 | 31,7 | 31,9 | 27,4 | 22,2 | 16,7 | 13,6 | 13,4 | 19,5 | 30,5 | 22,1 | 21,4 |
T. min. media (°C) | 2,0 | 2,5 | 4,4 | 6,7 | 10,6 | 14,2 | 16,7 | 17,1 | 14,2 | 10,5 | 6,0 | 3,2 | 2,6 | 7,2 | 16,0 | 10,2 | 9,0 |
T. max. assoluta (°C) |
19,9 (1971) |
22,8 (1990) |
27,8 (1991) |
28,0 (2000) |
32,2 (1994) |
37,8 (1998) |
39,6 (1998) |
40,4 (1998) |
37,8 (1987) |
33,0 (1990) |
26,7 (1971) |
23,0 (1989) |
23,0 | 32,2 | 40,4 | 37,8 | 40,4 |
T. min. assoluta (°C) |
−14,0 (1985) |
−7,0 (1993) |
−7,2 (1971) |
−3,0 (1995) |
2,6 (1982) |
5,7 (1975) |
9,6 (1978) |
8,6 (1989) |
5,2 (1977) |
−0,1 (1978) |
−6,0 (1973) |
−6,7 (1973) |
−14,0 | −7,2 | 5,7 | −6,0 | −14,0 |
Giorni di calura (Tmax ≥ 30 °C) | 0 | 0 | 0 | 0 | 1 | 8 | 22 | 22 | 7 | 0 | 0 | 0 | 0 | 1 | 52 | 7 | 60 |
Giorni di gelo (Tmin ≤ 0 °C) | 10 | 7 | 3 | 1 | 0 | 0 | 0 | 0 | 0 | 0 | 2 | 7 | 24 | 4 | 0 | 2 | 30 |
Precipitazioni (mm) | 59,3 | 71,9 | 58,6 | 80,7 | 59,6 | 44,8 | 27,7 | 41,3 | 80,0 | 102,5 | 108,1 | 78,2 | 209,4 | 198,9 | 113,8 | 290,6 | 812,7 |
Giorni di pioggia | 7 | 7 | 7 | 9 | 7 | 5 | 3 | 4 | 6 | 9 | 10 | 8 | 22 | 23 | 12 | 25 | 82 |
Giorni di nebbia | 1 | 1 | 1 | 1 | 0 | 0 | 0 | 0 | 0 | 0 | 1 | 1 | 3 | 2 | 0 | 1 | 6 |
Umidità relativa media (%) | 75 | 71 | 70 | 71 | 70 | 67 | 66 | 66 | 69 | 74 | 78 | 77 | 74,3 | 70,3 | 66,3 | 73,7 | 71,2 |
Il paese di Monticelli, modificato in Montecelio con regio decreto legge nº 912 del 23 giugno 1872, prende il nome dalla due cime su cui è posto. Il primo documento medievale che ne attesta l'esistenza lo definisce Castrum Monticellorum. Il nuovo toponimo, attribuito a causa dei numerosi omonimi all'indomani dell'annessione dello Stato Pontificio, non era del tutto arbitrario. Già nel XVI secolo lo si usava in ambiente dotto, ritenendo che Monticelli fosse una corruzione popolare di Mons Celii etimo derivato da un presunto possedimento dell'antica gens Celia.
«Il territorio della Terra di Monte Celio in Latio è diviso circa alli terreni canovativi per le annue sementi de grani biade et altro in quattro parti...»
Guidonia ha un suo eponimo: Alessandro Guidoni, generale dell'Aeronautica, perito tragicamente il 27 aprile 1928 precipitando durante una prova di lancio con un paracadute di tipo Salvator nei pressi dell'allora Campo d'Aviazione di Montecelio.
Con la nascita del nuovo comune, avvenuta per regio decreto del 21 ottobre 1937, si inglobava la preesistente giurisdizione amministrativa di Montecelio, paese antico di almeno un millennio, posto su due colli.
Si ritiene che fosse per le pressanti insistenze di don Celestino (al secolo Agostino) Piccolini, storico ed archeologo di fama, nonché parroco del suddetto paese, che venne accodato al nuovo toponimo il vecchio[11].
L'insediamento umano sull'attuale territorio di Guidonia Montecelio è riconducibile al periodo Neolitico, com'è attestato dai rinvenimenti di resti umani, utensili litici, manufatti, ceramiche e sepolcri in molte delle sue località. I motivi di richiamo furono essenzialmente l'abbondanza di acqua, di boschi e, nella zona delle alture cornicolane, la presenza di grotte carsiche e la posizione elevata sul resto del territorio, il quale nella parte pianeggiante era ancora sommerso dalla palude[12].
Gli stessi fattori geografici favorevoli determinarono i numerosi insediamenti dell'età del bronzo. Secondo la tradizione antica, abitatori primitivi del Lazio furono i Siculi, popolo di origine settentrionale proveniente dalle terre dei Liguri. Essi si sarebbero stanziati nella zona compresa tra il medio corso del Tevere e i Colli Albani finché, intorno al XIII secolo a.C., ne furono scacciati dagli Aborigeni discesi dai monti della Sabina. Questi ultimi, stabilitisi a sud del Tevere nel Latium vetus, sarebbero così i diretti antenati dei Latini, ai quali avrebbero dato origine unendosi a genti greche sopraggiunte dal mare. In realtà queste tradizioni rispecchiano il periodo del Bronzo recente in cui, da apporti culturali ed etnici diversi, si delineò nel Lazio il ceppo latino. A quell'epoca risale la nascita di Corniculum, città preromana situata dagli archeologi sul colle dove ora è il centro abitato di Montecelio, il cui significato originario del nome trova la sua spiegazione nella forma appuntita dei due colli che ricordano due corna.
Ricostruendo dalle origini le vicende di Roma, gli storici antichi ci danno notizia di Corniculum, conquistata da Tarquinio Prisco nell'anno 140 dalla fondazione di Roma, quindi nel VII secolo a.C., durante l'affermazione militare romana sui Latini. Non si sa se la città venne distrutta completamente in quell'occasione, è certo però che in epoca imperiale essa aveva già cessato di esistere. Tuttavia, la Rocca sorta durante il Medioevo sul colle di Montecelio e che tuttora domina l'abitato venne edificata sulle rovine dell'arce primitiva, utilizzandone in parte i materiali di costruzione ed inglobando nelle sue strutture un tempietto romano del I secolo a.C.
La sua fondazione si connette ad un momento di incremento demografico e di progresso tecnico delle genti di questa regione, fattori che portarono alla stabilizzazione territoriale delle popolazioni nomadi ed alla creazione di villaggi di una certa entità. Uno dei siti maggiormente popolati era quello delle Caprine nell'attuale abitato di Guidonia, anche antico transito per aggirare la palude di acqua sulfurea che invadeva la piana meridionale fino all'Aniene. I ritrovamenti archeologici hanno attestato, nell'età del Bronzo, almeno sei insediamenti stabili di una certa entità presso le zone tufo litoide[5] del lago di Marco Simone nonché sulle alture di Colle Lepre (vicino a Tor de' Sordi) ed a Valle Stregara (Colle Fiorito)[12].
Durante l'età del ferro quest'area fu interessata da una fitta rete di collegamenti, alcuni dei quali rispecchiano i percorsi seguiti dalle vie romane in età storica. Il principale tragitto si identifica con l'attuale tracciato della via Tiburtina Valeria, mentre quello della Tiburtina-Cornicolana collegava la pianura ai monti Cornicolani per poi addentrarsi in Sabina, nello stesso periodo in concomitanza con lo sviluppo dell'agricoltura, gli insediamenti tendono ad allontanarsi dalle zone paludose e solfuree per colonizzare la più fertile fascia occidentale.
Tutto il territorio considerato, a partire dal VI secolo a.C., specialmente nell'area pianeggiante, conosce un infittirsi degli insediamenti rurali, in relazione ad uno sfruttamento agricolo intensivo e ad un grande frazionamento terriero. L'agricoltura si orientava prevalentemente nella produzione vinicola, come testimoniano i numerosi attrezzi per torchiare rinvenuti dagli archeologi nel territorio.
A fianco agli insediamenti agricoli si moltiplicano, per tutta l'età Repubblicana, le strutture abitative Romane, ville agricole e residenziali sviluppatesi sui fertili terreni dell'Agro Romano. Da quel periodo la presenza di Roma comincia ad essere determinante per quest'area, sia dal punto di vista dell'assetto politico che da quello dello sviluppo economico. Le bonifiche, la costruzione di strade ed acquedotti che si realizzano nella pianura in prossimità dell'Aniene sono dovuti alle esigenze della Capitale che si rivolge a questi territori per il suo approvvigionamento[12]. In epoca Imperiale le derrate provenienti da fuori Italia provocano però la svalutazione agricola dell'area, le campagne si spopolano e si diffonde il latifondismo. Testimoniano questa evoluzione sia la scomparsa di molti insediamenti rurali che la costruzione di imponenti ville patrizie: alla funzione economica subentra quella che oggi chiameremmo la funzione turistica[12].
Nell'Agro Tiburtino, si diffondono intorno alle sorgenti termali delle Acque Albule le ville residenziali che rivaleggiavano in bellezza e ricchezza con quelle sparse sulle fresche alture tiburtine. Qui, si racconta che Zenobia, regina di Palmira, trascorse in segregazione gli ultimi anni della sua vita, che invano aveva contrastato l'espansione romana verso oriente.
Le alterne vicende susseguitesi alle invasioni barbariche, fino all'invasione saracena del 900, ebbero conseguenze esiziali per l'economia. Abbandonate le villae, interrotte le attività agricole, i canali di drenaggio ostruiti o distrutti, i collettori delle acque e le cisterne inutilizzabili, tutto concorre a rendere la pianura paludosa, malarica ed inospitale[12].
Le notizie più sicure che abbiamo sullo sviluppo demografico e topografico dell'attuale territorio comunale, sono quelle riguardanti il centro di Montecelio. Esso è infatti l'unico, tra i nuclei abitati sorti in quest'area durante tale periodo storico, ad aver accentrato un numero rilevante di popolazione e ad essersi mantenuto in vita con continuità insediativa fino ai nostri giorni.
Nel resto del territorio considerato prevalsero insediamenti sparsi tipici della Campagna Romana in quei secoli e che si identificano anche in età moderna con termini assai diffusi nella toponomastica locale: casale, torre, castello. Alcuni di questi siti, fortificati in seguito alle lotte dei feudatari tra loro e con il potere ecclesiastico, conobbero anche un modesto sviluppo urbano ma molto limitato nel tempo. Le scarse popolazioni superstiti si raccolgono intorno alla Basilica di San Vincenzo alle falde nord-orientali di Montecelio pronte a nascondervi, all'occorrenza, tra le rupi e la fitta vegetazione che ne ricopriva la vetta. Per quanto riguarda Montecelio, la prima notizia che abbiamo appare in una bolla di papa Benedetto VII del 973 che indica il luogo, allora denominato Monticelli, tra i possedimenti della Chiesa di Tivoli[12].
Verso la fine del Millennio, riprende la vita sociale intorno alle torri sparse lungo gli assi viari della Tiburtina e della Nomentana e nasce l'insediamento di Monticelli che presto si sdoppierà in due borghi distinti: il Castrum Montis Albani e il Castrum Monticellorum, che ha la sua data di fondazione ufficiale nel 998, ed accoglie le prime popolazioni stabili, proprio intorno alla rocca, sul punto più alto della collina. Alla fine del X secolo esisteva già la Rocca, cioè il castello fortificato fatto costruire dai Crescenzi signori del posto. Infatti vi fu tenuto prigioniero, verso il 1002, un Abate dell'Abbazia di Subiaco, con la quale questi signori erano in lotta per il dominio del territorio Tiburtino. Sul monte del Sorbo era nato nel XII secolo un villaggio cinto da mura, ma alla fine del Trecento vi risiedevano solo dieci famiglie e nel Quattrocento, ormai disabitato, venne ridotto a casale agricolo.
Nel sito fortificato di Tor de' Sordi si sviluppò nel corso del XIII secolo, epoca di operazioni militari nella zona, ma non ebbe mai un'estensione di tipo villaggio. La struttura mostra il caratteristico aspetto di un piccolo castello fortificato, costruito intorno al 1600, si sviluppa attorno ad una torre medievale d'avvistamento a pianta quadrangolare che conserva ancora il rivestimento originario di pietra del XIII secolo. Da questo si diparte una lunga cinta muraria che delimita la corte interna[13].
Tor Mastorta, che prima del XIV secolo era un centro abitato con fortificazioni, a causa della peste del 1348 venne abbandonato. Anche presso la località di Pio Rotto esisté per un certo periodo un villaggio, che però nel 1200 era già scomparso. Infine l'insediamento di Castell'Arcione,[14] fondato dai Capocci nel XIII secolo, nel 1400 passato di proprietà agli Orsini risulta disabitato e ceduto nel 1496 ai Rucellai[15] e ad altre famiglie, fino a essere ceduto sotto il fascismo come contea a Massimo Del Fante. Questi siti sopravvissero esclusivamente come tenute agricole che solo con alcune strutture architettoniche conservatesi ricordano oggi la loro origine medievale[12].
L'abitato a quell'epoca ancora non si era costituito, la popolazione viveva sparsa nella campagna e alle pendici del colle presso l'Abbazia di San Vincenzo. Solo in seguito alle incursioni dei Normanni, tra l'XI e il XII secolo, le plebi rurali si posero sotto la protezione del castello intorno al quale, risalita l'altura, cominciarono a costruire le prime case. Il terreno roccioso favoriva l'approntamento del sistema difensivo in quanto si costruiva chiudendo con le abitazioni i passaggi più agevoli tra gli scogli. In questo periodo anche la Rocca dovette essere riedificata, a causa della sua devastazione da parte degli stessi Normanni. Tra il XIII ed il XIV secolo l'abitato si ingrossa, le case a schiera si dispongono seguendo le curve di livello, dando origine alla struttura a spirale del borgo. È da notare che venne trascurato dall'edificazione il lato nord; in ciò fu certamente determinante il fattore climatico negativo: minor tempo di insolazione ed esposizione ai venti di tramontana. Solo in epoca molto recente, saturatisi gli altri spazi edificabili, il paese ha conosciuto una parziale urbanizzazione nel versante settentrionale. Alla fine del XIV secolo erano già fondate la chiesa di San Lorenzo, entro il nucleo abitato, e la chiesa vecchia di San Giovanni Evangelista, sviluppatasi da un insieme di cappelle annesse al cimitero costituito presso l'area pianeggiante tra le due cime cornicolane[12].
I confini di Monticelli arrivavano allora sul fosso del Cupo, dal momento che i Crescenzi, nel XII secolo, avevano tentato inutilmente di estenderne il territorio a spese del Monastero di San Ciriaco, possessore di una tenuta al di là di quel corso d'acqua. Dal loro dominio il borgo uscì all'inizio del Duecento e le alterne vicende politiche dell'epoca lo portarono con il suo territorio sotto la signoria di diverse famiglie feudali legate al Papato, tra queste i Gottifredo, i Colonna, i Capocci. Questi ultimi ne conservarono il possesso, tranne brevi periodi, fino al termine del XIV secolo quando, con la restaurazione operata da papa Bonifacio IX nei domini della Chiesa, Monticelli venne a trovarsi sotto i Monaci di San Paolo. Il borgo non era ancora cinto da mura; solo con lo sviluppo urbanistico tra il 1400 e il 1600 si delinea un vero sbarramento costituito dalle stesse case della periferia a forma di quadrilateri o torri. In quell'arco di tempo altre tre famiglie si succedono a dominare il paese: gli Orsini, i Della Rovere e i Cesio sorgono in questi secoli le chiese di Sant'Antonio, Sant'Antonino e San Biagio. Le nuove costruzioni urbane seguono lo schema iniziale di disposizione e l'abitato si sviluppa specialmente nei quartieri più vicini alla Rocca.
L'ampliamento urbano seguiva l'accrescimento della popolazione. Si sa, a questo proposito, che un aumento demografico rilevante si era verificato verso la metà del Cinquecento, in seguito alla riattivazione delle cave di travertino delle Fosse e delle Caprine per fornire materiali alla costruzione di San Pietro in Vaticano. Sembra che in quell'occasione parecchi lavoratori sopraggiunti da fuori venissero a stabilirsi nel paese.
L'aumento degli abitanti è testimoniato anche dal fatto che le conserve d'acqua scavate sotto la Rocca non furono più sufficienti all'approvvigionamento idrico e se ne dovettero approntare altre due.
Nello stesso periodo iniziarono i lavori di selciatura delle vie del borgo. Monticelli era allora un Marchesato costituito tale, con motu proprio di papa Pio V nel 1576, per i meriti della famiglia Cesi padrona del luogo dal 1550. Sotto i Cesi la comunità si diede uno Statuto, che rispecchiava comunque il carattere particolare dei comuni dell'area romana, dipendenti totalmente dal feudo e dai baroni[12].
Con la fine del Medioevo, mutata la situazione politica, diminuiti i pericoli di conflitti locali, Monticelli non perde la sua importanza strategica ma si avvia ad una vita più tranquilla. A fronte del disfacimento economico che subisce alla fine del Rinascimento tutto l'Agro Romano, con la chiusura delle ville residenziali, il territorio cornicolano e quello tiburtino vivono una stagione ancora ricca di fermenti culturali ed economici. In particolare la produzione di travertino che a partire dal 1400 ha un suo rilancio dovuto alle fabbriche in Roma.
L'industria del travertino e della calce andarono di pari passo. La necessità di produrre quest'ultima in grande quantità spinse ad ottimizzare la produzione: la pietra calcarea, dunque, invece di essere trasportata dai monti Cornicolani, si ricavava dalle cave stesse del travertino sia utilizzando le scaglie, sia i blocchi di non buona qualità. In questo modo i lavoranti stessi non interrompevano mai la loro attività e tutti gli impianti erano concentrati in un unico punto con notevole risparmio nei trasporti.
Il commercio di questi prodotti fu il volano di un intenso traffico gestito da mercanti dalle grandi capacità imprenditoriali. Ingenti quantità di legno per le fornaci giungevano dai territori di Monticelli, Palombara e Sant'Angelo ma anche da località più lontane come la macchia costiera di Ostia ed addirittura della Garfagnana[16]. Nelle miniere dell'alto Lazio ci si procacciava il ferro per gli attrezzi degli scalpellini, che si reclutavano soprattutto in Lombardia e Piemonte. Mentre da Cisterna di Latina provenivano i butteri che con i loro bufali si incaricavano del trasporto.
Si costruì un porto di imbarco in territorio di Lunghezza dove i carri (lunghi fino a dieci metri, con otto paia di ruote doppie, trainati da 16 bufali) scaricavano il travertino sulle chiatte, governate da un equipaggio di 9 uomini, per il traino fino a Roma. In alcuni periodi la produzione non riusciva a soddisfare la richiesta e per questo fabbricare calce era il risultato di un compromesso tra la scelta del materiale, l'abilità nel disporre i sassi nel forno, (più erano grandi più avevano bisogno di calore) i tempi di cottura (dalle 60 alle 100 ore, alla temperatura di 1000 °C), la velocità di consegna e la grandezza delle fornaci stesse. Inizialmente erano semplici buche scavate nel terreno in prossimità del luogo di estrazione della pietra, in seguito se ne costruirono di più grandi, di forma conica, con un'ampia bocca inferiore dove porre il combustibile[12].
Il 31 luglio del 1656 il Bernini firma il contratto per l'edificazione del colonnato di San Pietro il cui disegno finale sarà frutto di una lunga trattativa tra l'architetto e il papa Alessandro VII.
Quattro anni più tardi si stipulano gli accordi per la fornitura del travertino, necessario alle fondazione ed alle 284 colonne alte 13 metri con quattro appaltatori: Andrea Appiani, Carlo Piernisani, Giovanni Francesco Ghetti e Bonifacio Berto dove ci si premura di specificare la provenienza del materiale:
«i travertini di qualsivoglia sorta o condizione, e in ogni cava, o posto che siano et anco per la strada di Tivoli eccettuati quelli che si trovano nella cava e parti del signor Pietro Nerli a Monterotondo.»
Il contratto specifica anche la durata della fornitura: dal maggio 1661 al maggio 1667[17].
Una grande attività, dunque, ferveva lungo i terreni gravitanti sulla via Tiburtina e lungo via della Selciatella; mentre il resto dell'Agro declinava velocemente e si spopolava, Montecelio continua la sua storia fatta di uno sviluppo lento ma continuo, le attività agricole, in particolare uva e vino, l'attività estrattiva e le fornaci di calce, offrono un relativo benessere testimoniato anche da un persistente flusso migratorio che fa stabilizzare nel paese famiglie provenienti dalle zone appenniniche, in particolare uno studio condotto sugli archivi comunali e parrocchiali ha evidenziato una migrazione dalle Marche. I lavoratori più richiesti erano i carbonai che venivano addetti alla cottura della calce. La corretta disposizione dei blocchi di calcare nella fornace e la cura del fuoco erano le attività più delicate ed in questo i Montecillesi avevano raggiunto una grande maestria per cui la loro produzione era la più richiesta dai costruttori dell'Urbe.
Proprio a causa della incessante attività delle fornaci di calce si estinse la maggior parte dei boschi dei dintorni.
Nel XIX secolo il comune di Monticelli conobbe vari passaggi di truppe straniere, compreso quello da parte dei Garibaldini nel 1859 durante la marcia da Roma ad Arezzo. Dopo il 20 settembre 1870 Roma si trovava proiettata al centro del nuovo Stato Italiano, cuore di un paese ancora proto-industriale che entra nel pieno della vita politica europea. Monticelli fu uno degli ultimi territori ad essere annessi al Regno d'Italia, poiché si dovette attendere per questo il 1870, mentre nel 1872 il nome cambierà ufficialmente in Montecelio. L'arrivo delle numerose delegazioni straniere nella nuova capitale, l'insediamento della classe dirigente piemontese, il riaccendersi della vita culturale non possono che mettere in risalto il profondo degrado economico, ambientale e sociale appena al di là delle mura aureliane.
Una campagna piatta, malarica, paludosa, incolta, suddivisa in grandi latifondi, popolata stagionalmente da una massa di diecimila lavoratori agricoli che per sei mesi l'anno vivevano miseramente in capanne o tuguri, con il rischio di contrarre la malaria. Particolarmente grave la situazione della manovalanza (i guitti) sfruttati oltre l'inverosimile, le donne ancor peggio degli uomini, sottopagate, spesso costrette a cedere alle minacce dei loro datori di lavoro. I motivi dell'arretratezza economica erano fondamentalmente due: la malaria e la mancanza di meccanizzazione giustificata, questa, dall'abbondanza di manodopera, dalla scarsezza di personale specializzato e dall'asperità dei terreni coltivati. L'aratura avveniva con rudimentali strumenti trainati da buoi costretti a ripassare varie volte sul terreno per smuoverlo completamente. Si concimava in modo primitivo, lasciando le greggi sostare sul terreno. Al momento della raccolta si arruolavano numerosi lavoranti stagionali che divisi in gavette (quattro falciatori ed un raccoglitore) erano in grado di mietere circa cinque ettari in dieci giorni. Questo rendeva poco competitiva l'agricoltura rispetto alla pastorizia che, invece, offriva una resa per ettaro doppia. La malaria del resto, aveva reso tragicamente inutili tutti i numerosi tentativi compiuti nei secoli precedenti per popolare le campagne. Solo nel 1899 si definirono le esatte cause del morbo, la sua propagazione per mezzo della zanzara anofele e si riuscì a stabilirne la corretta profilassi a base di chinino[12].
A partire dal 1900 iniziò un'imponente campagna profilattica che vide impegnati dottori e volontari della Croce Rossa. Da luglio ad ottobre ambulanze su carri, cariche di chinino e strumenti per il primo soccorso, si disperdevano nella campagna romana compiendo un censimento della popolazione sparsa nelle aziende agricole informandoli sulle procedure per la prevenzione, distribuendo medicinali e curando i contagiati.
Le migliorate condizioni ambientali diedero impulso all'agricoltura ed ai lavori di bonifica. La conseguenza fu un vertiginoso aumento della immigrazione, uomini e donne si affollavano, spesso con le proprie famiglie, in villaggi di capanne in condizioni di grande precarietà.
Nella loro disperata ricerca di lavoro venivano sfruttati dal caporalato che ne aveva in mano i destini, le donne umiliate, i bambini lasciati a sé stessi quando non avviati precocemente al lavoro.
Dalle relazioni dei medici e degli insegnanti si ricava un resoconto delle reali condizioni di vita di questa popolazione eterogenea e povera, primo nucleo dei centri abitati di Le Fosse (Villalba), Le Sprete (ora Villanova) Castel Arcione, Marco Simone, Tor Mastorta. Un mutamento che si è inserito in quello più ampio dell'Agro Romano che passò da 5 000 residenti del 1870 ai 74 000 degli anni trenta fino alle odierne centinaia di migliaia con l'esplosione delle borgate diventate popolose circoscrizioni[12].
Durante la prima guerra mondiale emerse con chiarezza che i recenti sviluppi della tecnica aeronautica conferivano all'Aviazione significative potenzialità belliche, di conseguenza le nazioni contendenti cercarono di accrescere le proprie capacità in questo nuovo tipo di guerra. A tal fine, nel 1916 venne decisa la costruzione, in località La Prata, di un campo di addestramento per piloti militari. Questo campo fu intitolato al tenente colonnello Pilota Alfredo Barbieri, morto in combattimento il 18 febbraio dello stesso anno. Al termine della Prima guerra, il Campo di Montecelio fu adibito ad attività di ricerca e sperimentazione, e vi fu dislocata la Direzione Sperimentale dell'Aviazione.
La decisione di collocare, in piena guerra, un aeroporto militare intorno al cinquecentesco Casale dei Prati che ne ospitò il comando, diede un'inaspettata svolta al destino di Montecelio.
Era una zona spopolata al confine di Tivoli, ricca di piatti pascoli e terreni seminativi, servito dalla linea ferroviaria Roma-Sulmona, a cinque chilometri di distanza dall'abitato che offriva la manodopera necessaria per il suo funzionamento.
Costruito una dozzina d'anni dopo il pionieristico volo dei fratelli Wright, a sette anni dal primo brevetto ottenuto dal pilota Mario Calderara, l'aeroporto di Montecelio nasce per l'addestramento di nuove squadriglie di aviatori.
Inizialmente erano usati due campi di volo: uno, il cui asse di simmetria era rappresentato, grosso modo, dall'attuale via Maremmana Inferiore; l'altro, si estendeva quasi fino alla zona che oggi occupa la città di Guidonia[18].
Come campo sperimentale fu scelto quello di Montecelio rispetto a quello di Centocelle, ormai troppo vicino alle abitazioni di Roma, e per questo, anche se alla fine del conflitto mondiale l'attività fu drasticamente ridotta e per molti mesi il campo fu deposito di rottami d'aerei, l'aeroporto Barbieri mantenne alcune limitate attività legate al Comando Scuola Aviatori, al Comando Scuola Allievi Osservatori, un Raggruppamento Aerocostieri e Dirigibilisti di Roma e fu sede di una Squadriglia Sperimentale.
La rinascita dell'Aeroporto seguì di pari passo quella dell'Aviazione Italiana, ad iniziare dal Regio Decreto del 28.3.1923 nº 654 che trasformò l'Arma Aeronautica in Regia Aeronautica. La nuova invenzione, con il suo rivoluzionario impatto con la realtà e le sue strabilianti potenzialità, avevano subito fatto presa nell'immaginario popolare e di chi ne aveva intuito il valore propagandistico.
Il Fascismo aveva mostrato il suo interesse sin dal 1919 quando Giuseppe Bottai indisse nella sede di via degli Avignonesi un'adunata aviatoria da cui prese vita il primo Sindacato Aviatori e il Gruppo Romano Aviatori Fascisti "Natale Palli".
Nel 1921, appena eletto deputato, Benito Mussolini fondò a Montecitorio il Gruppo Parlamentare Aeronautico e da primo ministro costituì il Ministero dell'aeronautica assumendone anche la delega.
La Regia Aeronautica, subito dopo la Royal Air Force, fu pertanto la seconda al mondo a strutturarsi in forza armata autonoma e la sua grande stagione coincise proprio con il regime fascista che ne esaltò le possibilità propagandistiche: la ripetuta ricerca di record, i raid transoceanici, segno di una superiorità della tecnologia italiana, ebbero una notevole ricaduta d'immagine. L'aeroporto Barbieri diventò il luogo di incontro di piloti, tecnici ed ingegneri che poterono così scambiarsi una notevole serie di informazioni ed esperienze che contribuirono allo sviluppo degli studi aeronautici e resero famoso nel mondo il nome di Montecelio.
Nel 1923 Alessandro Guidoni venne incaricato di costituire il Corpo Tecnico dell'Aeronautica. Egli riunì tutti i laboratori sperimentali sotto la direzione del Genio Aeronautico ed iniziò il trasferimento dei laboratori a Montecelio. Alla morte del Guidoni, nel 1928, subentrò un altro tecnico: Gaetano Arturo Crocco. Sotto la sua direzione si continuò l'opera di ampliamento delle strutture di accorpamento dei laboratori. Si costruirono anche edifici ad uso civile (alloggi, scuola ed ufficio postale), precursori della nascita della futura città aeronautica di Guidonia, nell'allora territorio comunale di Montecelio. Nello stesso periodo si disponeva di riorganizzare le costruzioni aeronautiche creando la Direzione superiore studi ed esperienze.
La costruzione degli edifici del DSSE fu iniziata, su progetto di Jammarino e Traverso, nel 1932 e portata a termine nel 1935. I laboratori, frequentati anche da personale civile, prenderanno il nome di Guidonia, come la città che si fonderà qualche anno più tardi.
«Il cielo di Guidonia non puoi pensarlo deserto, silenzioso, cupola vitrea senza incrinature o specchio senza immagini. È sempre vivo d'ali così: sentinelle d'onore, fari diurni che hanno per anima il sole, passioni vestite d'acciaio, sfide dell'uomo all'arcano e alla morte[19]»
(Stanis Ruinas - da Viaggio per le città di Mussolini)
Il 15 dicembre del 1935 venne stilato l'atto di nascita della città. I lavori veri e propri per la costruzione del paese cominciarono un anno dopo, il 1º settembre del 1936. Nello stesso anno, in ottobre, si resero noti i nomi dei proprietari a cui sarebbero stati espropriati i terreni prossimi al costruendo aeroporto nel territorio di Montecelio.
Il comune di Guidonia Montecelio venne istituito con Regio decreto legge, firmato da Vittorio Emanuele III di Savoia, il 21 ottobre 1937 ed inaugurato dieci giorni più tardi da Benito Mussolini alla presenza di una platea che comprendeva grandi personalità del mondo politico e militare.
Nella denominazione del nuovo Ente Amministrativo vennero uniti i centri abitati di Montecelio e di Guidonia, il primo già capoluogo del comune omonimo che come tale fu allora soppresso, il secondo costituito dal primo nucleo della cittadina appena fondata nella piana alle pendici di Montecelio. I territori comunali, pari ad 8104 ettari, compresero:
All'art. 2 del Decreto costitutivo si precisava:
«I beni patrimoniali e le altre attività e passività del comune di Montecelio passano al comune di Guidonia Montecelio»
Così, in pratica, la creazione del nuovo comune si configurò come un ingrandimento territoriale del precedente, pari a circa tre volte la sua superficie originaria. Nonostante il trasferimento della sede comunale a Guidonia, l'archivio storico e così pure i registri anagrafici testimoniano la continuità amministrativa tra i due Enti. Ad esempio, mentre le persone residenti in Montecelio vennero semplicemente trascritte nei Registri Anagrafici del nuovo comune quelle residenti nei territori pervenuti da Tivoli e da Roma furono registrate come immigranti.
Il nuovo eponimo nacque al fine di onorare la memoria del generale del genio aeronautico Alessandro Guidoni, che nell'intento di provare il funzionamento di un paracadute di nuova concezione si schiantò al suolo presso l'aeroporto militare di Montecelio, costituente il nucleo intorno al quale si svilupperà fino al 1943 la "Città dell'Aria" di Guidonia. Nel luogo dell'incidente oggi sorge un monumento a lui dedicato. Guidonia era la Cape Canaveral degli anni trenta ed il suo Centro sperimentale, la Direzione superiore studi ed esperienze, era in assoluta avanguardia sugli studi aeronautici. In un articolo il giornalista Bruno Montanari descriveva così la città:
«[...] nella chiara mattina primaverile Guidonia m'appare veramente come quelle famose città del Duemila di cui hanno tanto favoleggiato i fantasisti del cinema: architettura razionale, costruzioni pratiche ed eleganti; spazio, simmetria, estetica nel piano regolatore; respiro, ordine, pulizia nei viali larghi, diritti, lucidi d'asfalto; sinfonia policroma delle facciate, senza eccessi di colore, senza esagerazioni cubiste, senza pugni negli occhi; vita meccanica regolata dal pulsante dei galvanometri e dalle sinusoidi dei diagrammi; cuore elettrico alimentato da vene aeree e sessantamila volt. A Guidonia tutto procede come nei castelli incantati; tocchi un bottone e una lampada si accende da qualche parte, un organismo comincia a ruotare, uno strumento entra in funzione. Qui la magia dell'uomo fabbrica il vento, crea la stratosfera, rapisce all'etere i misteri della propagazione delle onde, misura l'incommensurabile, pesa l'imponderabile".»
(Bruno Montanari - da La Gazzetta del Popolo)
Gli eventi bellici avvenuti dopo il 1943, in particolar modo il bombardamento del 13 gennaio 1944 sulla Direzione superiore studi ed esperienze, non risparmiarono parte delle strutture dell'aeroporto, che vennero distrutte e mai più ricostruite, andando così nel dopoguerra ad essere ridimensionato nelle funzioni, perdendo un enorme patrimonio scientifico e di risorse umane.
Durante una festa di paese in aperta campagna ben oltre le borgate romane, Mamma Roma, prostituta di provincia interpretata da Anna Magnani, torna a prendere il figlio analfabeta cresciuto a Guidonia per portarlo a Roma nella speranza di una sua elevazione sociale:
«Meno male che te so venuta a ripià! Se no sai qua come mi diventavi te [...] Ma che vuoi passare la vita qua? te piace proprio la zappa? [...] A dritto mica ho messo un fijo al mondo per farlo diventà burino sa, ma che te dirà il cervello, dimmelo! ma non o sai i sacrifici che ho fatto? ma non o sai che ho dovuto sputà er sangue pe poté arrivà ar punto de portarte a casa con me a fa' una vita da cristiani, assieme, eh? so' sedici anni che aspetto sto momento, è mica stato facile pe' me sa... te ancora non la sai tutta la cattiveria del mondo.»
(Mamma Roma interpretata da Anna Magnani)
Il comune di Guidonia Montecelio è passato in un tempo relativamente breve dall'essere una piccola cittadina di provincia alla terza città della regione, superando gli 80 000 abitanti. Lo sviluppo del territorio a partire dal dopoguerra, e soprattutto dopo gli anni settanta, è stato veloce e caotico e all'insegna della cementificazione del territorio a macchia di leopardo, che l'ha portato a diventare prevalentemente una zona dormitorio a buon mercato rispetto alla vicina e più cara capitale[20].
La scarsa attenzione allo sviluppo urbanistico è stata mantenuta dalle varie giunte che si sono succedute negli ultimi trent'anni e ha portato il territorio a terreno di sfruttamento da parte di palazzinari e imprenditori senza curarsi né della salute, né della vivibilità, né tanto meno delle condizioni economiche degli abitanti.
Nel dopoguerra e fino agli anni sessanta l'economia del territorio ruotava intorno all'aeroporto militare, alle attività industriali delle cementerie e delle cave ed una consistente attività agricola con coltivazioni di tabacco, grano, ulivo e vite.
L'espansione urbanistica era di bassa intensità e legata alla realizzazione di case di abitazione da parte degli stessi proprietari.
Un territorio relativamente ricco di verde e con ampi spazi di terreno agricolo che separavano le varie frazioni, che complessivamente ospitavano meno di 20 000 residenti.
L'uscita dalla guerra e una forte tradizione di sinistra ha visto il governo del territorio ben saldo nelle mani dell'allora Partito Comunista che, con alleanze con gli altri partiti della sinistra (PSI, PSIUP, PSDI), ha governato i primi 29 anni della storia democratica del comune.
All'inizio degli anni settanta la situazione cambiò:
La popolazione nel frattempo cominciò a crescere, con massicci arrivi da Roma, pendolari che con la Capitale mantenevano un rapporto stretto per via del lavoro, perdendo, però, identità per il distacco dai vecchi quartieri di residenza. A tal proposito è indicativo di quella situazione la scena del film di Pier Paolo Pasolini, Mamma Roma, in cui viene definito burino il protagonista venuto da Guidonia.
Ed è proprio grazie a questo cambiamento radicale di concepire il territorio e le sue dinamiche politico-sociali che l'espansione edilizia e residenziale assunse, negli anni settanta-ottanta, l'attuale fisionomia espansiva. Nacquero e si svilupparono svariati centri abitativi: Villanova, Villalba, Setteville, Colleverde. L'asse tiburtino cambiò aspetto, a causa dell'incremento di insediamenti industriali, soprattutto nell'area di Settecamini, ma con forti ricadute sui suoi immediati dintorni.
A livello politico, venne colta l'occasione per nuovi protagonismi, per gli arricchimenti facili, per un saccheggio selvaggio del territorio. La pressione di Roma, i nuovi posti di lavoro e l'offerta di suolo con nuova destinazione d'uso (da agricolo in abitativo) crearono una situazione di "malaffare diffuso", che emerse ancor più negli anni ottanta.
L'imprenditoria d'assalto, legata alla monocultura dell'edilizia, condizionò pesantemente la vita politica guidoniana, giungendo a subordinare le scelte del Consiglio comunale e delle varie amministrazioni che cambiavano a ritmo sostenuto, inanellando coalizioni che cadevano sempre sulle scelte legate all'urbanistica.
Al trionfo del malaffare diede limitata risposta, negli anni novanta, la magistratura con arresti[21] e processi, conclusisi, il più delle volte, con amnistie, scadenza dei termini, assoluzioni parziali. Nel frattempo, non cessavano di nascere nuovi insediamenti (Marco Simone, Casal Bianco, Setteville Nord, Colle Fiorito, Colle Largo, Parco Azzurro) e continuava la devastazione del territorio con l'introduzione nel 1986 della Discarica dell'Inviolata.
Alla sostanziale dipendenza dei partiti politici dagli appetiti imprenditoriali ha fatto da contraltare, nell'ultimo ventennio, una forte ed agguerrita opposizione di associazioni e comitati attraverso manifestazioni di piazza, denunce, ricorsi e invasioni della sala consiliare. Il distacco tra politica e cittadinanza, tra gestione amministrativa e bisogni collettivi è stato più volte colmato dal volontariato[22].
L'edificabilità di molte zone tuttora ancora verdi ha permesso un continuo aumento della popolazione grazie anche alla vicinanza con Roma. Le Amministrazioni che si sono succedute nei decenni hanno permesso fino ad oggi una caotica e insensata edificazione e con scarsi servizi per una così grande popolazione.
L'immagine originale di Guidonia è stata negli ultimi decenni modificata. La sua crescita disordinata ha completamente alterato il primitivo impianto, soprattutto per quanto concerne le infrastrutture e gli spazi verdi. Il risultato di ciò è stata l'inesorabile perdita dell'originale carattere organico di "comune corredato di tutti i servizi e gli edifici di carattere pubblico occorrenti alla vita e all'amministrazione di un nuovo comune autonomo" che era alla base della sua fondazione.
La prima descrizione dello stemma la fornisce lo storico monticellese Angelo Picchetti (1595-1668) che lo reputa antico di secoli: una cornacchia su tre colli con la scritta
S.P.Q.C., Senatus PopulusQue Corniculanus.
Grazie alle ricerche del già citato Piccolini e ai più recenti approfondimenti della locale sezione del Gruppo Archeologico Latino, con delibera del Consiglio comunale N°515 del 27 dicembre 1986 si è pervenuti alla
sua istituzionalizzazione nei seguenti termini:
«Partito al 1º rosso alla banda d'oro caricata dalle lettere maiuscole S.P.Q.C.; al 2º azzurro ai tre monti di verde, su quello di mezzo più alto una cornacchia al naturale rivolta a destra. Lo stemma è cimato dalla corona turrita del comune»
«Drappo partito di azzurro caricato dell'arma sopra descritta ed ornato di cordoni e frangia d'oro»
Con un decreto del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano del 4 aprile 2011 viene concesso al comune di Guidonia Montecelio il titolo di Città d'Italia, «in quanto essa risulta essere un ammirevole esempio di città di fondazione del periodo architettonico razionalista [...] ]»[23]. Una richiesta partita nel 2007 in occasione del 70º anniversario, con delibera di Giunta dell'Amministrazione Lippiello presentata dall'Assessore Andrea Di Palma. Ripresa poi dal Sindaco Rubeis ha visto il riconoscimento nel 2011.
I luoghi di maggior interesse storico e architettonico nel Comune si possono sommariamente individuare in due punti, quelli presenti nella paese millenario di Montecelio, ricco di chiese storiche e scorci medievali, e quello razionalista, presente nel centro di Guidonia.
Sul territorio del comune si trova solo un'area naturale protetta che è il Parco dell'Inviolata, istituito ufficialmente nel 1996 come risposta alla proteste contro l'omonima discarica, che ricade negli stessi terreni dell'area naturale insieme alla bretella autostradale Fiano-San Cesareo.